Il testo è tratto dal precedente sito della Parrocchia di San Rocco
LA STORIA
La chiesa di san Rocco affonda le sue radici già 500 anni fa, dapprima come semplice cappella edificata fuori le mura della città di Gorizia per poi modificarsi nel corso dei secoli subendo le vicissitudini delle guerre.
Il 19 settembre 1497 il vescovo della diocesi dalmata di Konavlije, Sebastiano Nascimbene, Vicario generale del capitolo di Aquileia, concesse ai decani della comunità, detta allora “Sotto la torre” la facoltà di erigere una cappella, in onore dei santi Sebastiano martire e Rocco confessore. Il patriarca di Aquileia Domenico Grimani provvide, con atto scritto, alla concessione di un’indulgenza di 40 giorni a tutti quelli che avrebbero visitato la suddetta cappella di san Rocco nelle feste della Beata Vergine Maria, di san Rocco, della Natività di Nostro Signore, del giovedì e del venerdì santo. I lavori della cappella procedettero con una certa celerità grazie alle consistenti offerte in denaro che venivano elargite in concomitanza con le visite fatte per lucrare l’indulgenza e grazie, sopratutto, al generoso contributo dei fratelli Giovanni, Febo e Nicolà della Torre. Il 23 agosto 1500 il vescovo di Caorle, Pietro Carlo, consacrò l’altare maggiore dedicato ai santi Sebastiano e Rocco e i due altari laterali, quello a destra alle sante vergini e martiri Lucia, Apollonia e Barbara e quello di sinistra ai santi Giacomo e Cristoforo. Nei documenti ritrovati si menziona anche il cimitero sorto intorno all’edificio sacro, un muro che lo chiudeva e un altare spoglio che stava sotto il portico della chiesa e che veniva usato nelle feste solenni, quando la cappella era insufficiente ad accogliere tutti i fedeli convenuti. In quel tempo la cura delle anime era affidata al parroco della chiesa dei santi Ilario e Taziano. All’inizio del XVII secolo, a partire dalla Croazia, cominciò a diffondersi rapidamente la peste e le autorità locali cercarono di prendere ogni precauzione possibile per prevenire il dilagare del terribile morbo nell’Isontino. Le precauzioni non furono inutili e nel goriziano si ebbero solo 14 vittime, I goriziani, come ringraziamento per essere stati preservati dal contagio, si impegnarono a restaurare ed ampliare la cappella di san Rocco, a farvi visita ogni anno nel giorno dedicato al santo ed a recarvisi in processione partendo dalla chiesa parrocchiale dei santi Ilario e Taziano.
La consacrazione della Cappella
Il 23 agosto 1637 il goriziano Pompeo Coronini, vescovo-conte di Trieste, consacrò la chiesa ed il suo nuovo altare maggiore marmoreo, dedicati a san Rocco e nella pietra sacra dell’altare vennero deposte le reliquie dei santi Andrea, Cristoforo e Giusto. Sette anni dopo, il patriarca Marco Gradenigo concesse allo stesso Coronini la licenza di consacrare i due altari laterali ed il cimitero e la consacrazione ebbe i luogo il 21 agosto 1644. L’Arciduca Ferdinando III, dopo varie vicissitudini, il 29 giugno 1648 decise di assegnare la cura di san Rocco ai Carmelitani e poco dopo gli Stati Provinciali legalizzarono questa concessione. L’anno successivo il conte Mattia della Torre donò ai Carmelitani la cappella costruita sulla Castagnevizza ed essi vi si trasferirono, pur mantenendo ancora per qualche anno la cura di san Rocco e solo nel 1768 rinunciarono ufficialmente ad essa durante una solenne cerimonia presieduta dall’Arcivescovo C. M. Attems, che fu anche l’occasione per incaricare il primo curato: Giuseppe Antonio Sauer. Cospicui e significativi interventi, tanto all’esterno che all’interno della chiesa, furono realizzati durante gli ultimi anni di servizio pastorale di don Martino Zucchiatti (1880-1895) e nel 1890 si decise di affrescare il soffitto con immagini del patrono avvalendosi dell’artista Solone Viganoni. L’affresco purtroppo non esiste più in quanto due granate, durante la prima guerra mondiale, centrarono il tetto della chiesa distruggendolo. L’allora borghigiana Lucia Bortolotti, abitante in via Parcar nel suo diario pubblicato su “Cronache goriziane” (C. Medeot) annotò: ”25 maggio 1915, venne impartito l’ordine di gettar giù la punta del campanile di san Rocco e del Seminario minore, ordine che non si effettua. – 27 ottobre – due granate in chiesa…”
La facciata
Fino alla metà del 1800 la facciata presentava un’ampia vetrata a mezza luna che fu poi murata ed al suo posto ilpittore goriziano Filippo Pich nel 1867 dipinse un affresco raffigurante il santo patrono. Alcuni anni più tardi l’architetto Antonio Lasciac predispose un progetto per abbellire la facciata, ma di questo non è rimasta traccia e nell’aprile del 1898 iniziarono i lavori di ristrutturazione su progetto dell’ingegner G. Brisco, nostro concittadino. La nuova facciata, in stile ionico, presenta tra le altre innovazioni una nicchia atta ad accogliere la statua del santo patrono che fu commissionata ad un laboratorio di Carrara. La scultura fu benedetta il 1 5 agosto 1899 da monsignor Luigi Tomsic, decano del Capitolo metropolitano, assistito da otto sacerdoti.
La difficile ricostruzione dopo la prima guerra
Durante la prima guerra mondiale la chiesa, come già detto, fu distrutta e la strada della ricostruzione fu piuttosto lunga e difficoltosa. Dai documenti rinvenuti risulta che nell’agosto 1924 l’impresa Alessandro Ericani interruppe i lavori in quanto ritenne insufficienti gli anticipi ricevuti; in quel momento iniziò un lungo procedimento penale che si concluse quando la ditta abbandonò la causa e nel 1939 la chiesa di san Rocco fu costretta a pagare le spese penali. Dai rendiconti parrocchiali risulta che nel 1923 la chiesa non era aperta al culto divino se non nelle feste di san Rocco e del Rosario. La ricostruzione si concluse appena nel 1929 dopo aver sostenuto tantissime spese in parte coperte dalle collette: una lapide commemorativa dell’importante avvenimento è conservata nella soffitta della casa parrocchiale. Durante la seconda guerra mondiale la chiesa non subì gravi danni e quindi non si ebbero cambiamenti radicali nel suo aspetto esteriore.
Il campanile e le campane
A partire dal 1690 e fino a quasi tutto il 1702 si lavorò per innalzare la struttura per sostenere le campane ed il risultato fu una torre merlata in stile veneto. Il contratto per l’acquisto di 3 campane presso la fonderia Broili-De Poli di Udine fu sottoscritto all’inizio del 1872 ed il 13 agosto dello stesso anno, alla presenza dell’arcivescovo Mons. Andrea Gollmayr, furono issate sul campanile. Negli anni successivi i borghigiani vollero cambiare la struttura della torre campanaria e dotarla di una cuspide. I lavori furono condotti dal maestro muratore Giuseppe Buda su progetto dell’ingegner Bridiga Quest’ultimo prevedeva la costruzione di una piramide a base ottagonale con struttura in legno copertura in rame. L’inaugurazione ebbe luogo il giorno del santo patrono il 16 agosto 1886 ed in concomitanza fu murata una lapide sopra la porta esterna de
Il campanile
Nel 1890 con un contributo del Consiglio Comunale si provvide alla collocazione dell’orologio sul campanile. Nel 1900 si ruppe una campana e, fatte fondere tutte, la notte di Natale suonarono già quelle nuove. Durante la prima guerra mondiale queste andarono perdute e, finita la guerra, fu necessario riordinarle e ci si rivolse alla stessa ditta di Udine. La benedizione avvenne nel 1922 ma negli anni successivi ci furono vari problemi di rotture. Anche l’orologio dovette essere sostituito e nel 1929 la ditta Solari provvide alla sistemazione di quello nuovo; in parte le spese furono coperte con i danni di guerra ricevuti proprio per l’orologio. Nel 1942 gli incaricati dell’ENDIROT ritirarono due campane per fonderie insieme ad alcuni supporti delle stesse. Al termine della guerra la ditta De Poli ricevette nuovamente l’incarico di provvedere alla fusione delle nuove campane che vennero consacrate nel gennaio del 1948 ed il 15 luglio 1957 la medesima ditta di Udine provvide a fornire la chiesa dell’attrezzatura per l’automazione elettrica del suono delle campane.
La centa
Già nel gennaio del 1962 fu demolita casa Pecorari che si ergeva poco distante dal fianco sinistro della chiesa; tra la casa e la chiesa era sorta, nel secondo dopoguerra, una baracca adibita ad oratorio. Si rese in questo modo disponibile un’area, recintata con una rete, per i giochi dei ragazzi. Negli anni ‘80 si provvide a pavimentare lo spazio stesso con selciato ed a costruire una piccola gradinata per favorire incontri comunitari, eventualmente a carattere musicale o teatrali e privilegiando per i giochi l’area del campo sportivo Baiamonti.
L’INTERNO DELLA CHIESA
Una visita all’interno della chiesa ci permette di ammirare alcune opere veramente significative sia dal punto di vista storico ed artistico che affettivo per la comunità del borgo. La navata unica di non grandi dimensioni ci dà la possibilità di abbracciare con lo sguardo la sua interezza, in un unica soluzione è possibile soffermarci davanti ad alcune opere interessanti quali la pala dell’altare maggiore, la via Crucis, il quadro raffigurante l’Ultima Cena e l’affresco dietro la vasca del battistero su il Battesimo di Gesù. Peculiare nella sua unicità è l’altare dedicato a santa Lucia, solo in città a lei consacrato e quindi frequentato luogo di preghiera per ottenere la protezione della vista e di tutte le affezioni agli occhi.
L’altare maggiore
Nel 1845 venne realizzato un progetto da Angelo Cameroni per un nuovo altare maggiore. Il 28 ottobre 1846 fu sottoscritto il contratto dal Cameroni con l’allora parroco don Cigalle alla presenza di vari parrocchiani come testimoni. L’altare era previsto nella stessa forma in cui è visibile ora; fu realizzato in marmo di Carrara di II classe con due statue, l’una di san Giovanni Evangelista e l’altra di san Rocco con il cane, sistemate però in posizione invertita rispetto a quella attuale. La prima guerra mondiale fece gravissimi danni alla chiesa che di conseguenza subì tante variazioni nella ricostruzione, ma l’altare maggiore mantenne tutte le caratteristiche del primitivo progetto e il 16 maggio 1929 fu nuovamente consacrato.
La cappella laterale del Sacro Cuore
Già nel 1929 iniziarono le collette tra i parrocchiani per erigere un altare dedicato al Sacro Cuore. L’altare fu inaugurato l’8 giugno 1934 con l’imponente statua posta in una nicchia tra due colonne marmoree e recante in basso a destra il nome dell’autore J. B. Purger – Ortisei – Bolzano. Gesù compare, come è consueto nell’iconografia cristiana, con il volto angelico, pallido e regolare nei lineamenti, i capelli castano chiaro, sono lisci sul capo ed hanno una discriminatura in mezzo, come anche la barba. La corporatura è alta e slanciata e gli abiti sono ampi e leggeri, il portamento è regale e lo sguardo intenso rivolto ai fedeli; il Sacro Cuore, raggiante di fuoco, spicca sul petto. L’altare in marmo proveniva dal laboratorio del marmista Marino Novelli di Ruda.
L’altare della Vergine con il Bambino
Giovedì 24 maggio 1883, festa del Corpus Domini, venne fondata a san Rocco la confraternita dedicata alla Beata Vergine del Rosario e nella stessa occasione il borghigiano Piero Lasciac donò alla chiesa la statua della Madonna realizzata nel laboratorio dell’intagliatore e indoratore udinese Giovanni Bertole. La statua è, come si suol dire, “vestita” in quanto fino a pochi decenni fa era meno costoso rivestire una Madonna piuttosto che scolpirla nel legno o nella pietra.
La pala di santa Filomena
La pala di santa Filomena vergine e martire (alla sinistra del Presbiterio) porta la firma di “Joh. Rauzi 838”, pittore ungherese attivo a Vienna fino al 1869. La santa ci viene presentata in un abito bianco che sembra quasi illuminare tutta la sua figura creando un netto contrasto con l’opacità dell’urna in legno che la racchiude e con il tetro ambiente circostante. Nella parte alta del dipinto due angeli dagli abiti insolitamente uno rosso e l’altro verde reggono una corona. Di solito l’iconografia cristiana ha raffigurato la santa con una palma nella destra, un bordone nella sinistra ed un angelo che scende a portarle una ghirlanda d’oro. La Congregazione dei riti nel 1961 ha tolto Filomena dal calendario liturgico e si potrebbe quindi attribuire la sua coronazione al fatto che era ritenuta figlia di un re della Grecia e di madre pure essa di sangue reale. La pala fu donata dalla famiglia reale francese rifugiatisi a Gorizia dopo il 1830.
L’altare dedicato a Santa Lucia
La santa è di origini siracusane (383) e per ottenere la guarigione della madre pronunciò voto di verginità a sant’Agata, patrona di Catania. Per questo fatto fu denunciata dal fidanzato al governatore della Sicilia e, condannata a morte, fu trafitta con una spada. La tradizione popolare racconta che, prima della morte, le furono divelti gli occhi ed è per questo motivo che si cominciò ben presto a ricorrere a lei per le affezioni della vista. Viene rappresentata come una giovanissima fanciulla con le rose nei lunghi capelli, un ampio abito bianco coperto da un manto rosa con fodera verde e con la mano sinistra che regge un bacile con sopra deposti gli occhi. Nel 1935 vengono registrate nei rendiconti parrocchiali le prime spese per “preventivi e disegni per l’altare di santa Lucia”, nel 1937 altre spese generiche per lo stesso altare e nel 1938 risultano pagate 801 lire per la decorazione (oggi andata perduta) della cappella di santa Lucia per mano di Leopoldo Perco. L’altare in marmo proveniva dal laboratorio del signor Marino Novelli, marmista di Ruda. Comunque, a san Rocco, la devozione alla Santa è molto antica: infatti risulta che già nel 1588 esistesse una Confraternita a lei dedicata.
La pala dell’altare maggiore
La Pala rappresenta san Sebastiano, san Rocco e molto probabilmente sant’Agostino. Nella parte alta la Vergine con il Bambino, appoggiata sulle nuvole, è circondata dai cherubini. San Sebastiano è raffigurato, come tradizionalmente nell’iconografia cristiana, come un bellissimo giovane esposto, a torso nudo, alle trafitture delle frecce scagliate dai suoi uccisori. Il suo sguardo, rivolto al cielo, è dolce e mansueto. Il giovane milanese, segretamente cristiano, morì a Roma colpito ripetutamente dai soldati di Diocleziano nell’anno 288.
San Rocco è uno dei santi più venerati nel mondo cattolico. Nacque nel secolo XIV a Montpellier da famiglia agiata, ma, rimasto orfano, vendette tutti i suoi beni a beneficio dei poveri e partì in pellegrinaggio per Roma. Nel suo viaggiare si fermò ad Acquapendente dove prestò la sua assistenza ai malati di peste e cominciò ad operare guarigioni miracolose. Dopo tre anni circa, nel suo girovagare, fu colpito dalla peste e dovette ritirarsi nella campagna vicina. La fine della sua vita è oscura ed è praticamente impossibile chiarire le vicissitudini dei resti del santo; secondo una tradizione italiana, le reliquie che riposavano ad Angera sarebbero state portate a Voghera dove furono acquistate dai veneziani che le trasportarono in gran pompa nella loro città, Il culto del santo conobbe una diffusione straordinaria nell’Europa occidentale a partire dalla seconda metà del secolo XV; si diffuse soprattutto nell’Italia del nord, in particolare nel Veneto, e solo in seguito nel centro e nel sud. Nelle campagne san Rocco fu anche invocato contro le malattie del bestiame e le catastrofi naturali. L’iconografia popolare lo ha sempre rappresentato con il cappello, il mantello ed il bastone da pellegrino. Lo accompagna il cane che lo assistette durante la malattia e porta appesa alla cintola o al mantello una conchiglia, usata dal santo per dissetarsi. La pala dell’altare maggiore. Associato spesso a san Sebastiano, san Rocco, è protettore contro la peste subentrato al primo intorno alla metà del secolo XV. San Sebastiano fa pensare alla peste come ad una maledizione che viene dal di fuori per colpire l’uomo (vedi le frecce); san Rocco riafferma con il proprio vissuto che dalla peste si può uscire cambiando stile di vita, vivendo a contatto con la natura non contaminata. Sant’Agostino, il terzo santo raffigurato, è di origini africane, si convertì al cristianesimo solamente a 33 anni e fu battezzato a Milano da sant’Ambrogio; fu poi consacrato sacerdote ed in breve tempo vescovo. Fu un grande scrittore, un geniale filosofo ed un profondo moralista, Il suo libro più letto sono le Confessioni. Abitualmente viene rappresentato in abiti episcopali, gli occhi rivolti al cielo, la mitra ed il libro accanto. Mentre è chiaro il motivo della presenza di san Sebastiano e di san Rocco, non è spiegabile la presenza di sant’Agostino; qualche studioso ha addirittura messo in dubbio questa identità ed ha pensato a san Carlo Borromeo, ma quest’ultimo abitualmente ha altri connotati: il naso adunco e gli abiti cardinalizi.
Cenni storici sulla pala
La notizia più antica e certa che si ha del dipinto è il restauro del bavarese Johann Michael Lichtenreiter nel 1769. Il committente del restauro fu Giovanni Andrea de Sembler, giurisdicente di san Rocco. Il Caprin attribuisce il dipinto a Palma il Vecchio e così anche il conte Floreano Formentini, ma è probabile che sia di Palma il Giovane cioè Jacopo Negretti (1 544-1628), pittore del tardo manierismo o di qualche suo allievo, Infatti è evidente la volontà di rendere chiaramente i singoli personaggi che fanno mostra di sé indipendentemente dal luogo e dal tempo. Nel 1931 la pala venne restaurata da Leopoldo Perco, pittore lucinichese ma già nel 1930 risulta registrata nell’Archivio Parrocchiale una fattura rilasciata allo stesso pittore per un restauro della medesima ed in seguito, nel 1945, fu registrata una spesa di 300 lire per” rimetterla a posto”. Risultano anche, tra le uscite, le spese per il trasporto della pala fuori città nel 1940 per proteggerla dai bombardamenti della guerra e per il rientro in san Rocco da Codroipo nel 1943.
L’Ultima Cena
Il quadro è posto a sinistra dell’altare maggiore all’interno del presbiterio ed è stato donato alla chiesa nel 1870 dal borghigiano Michele Culot. La scena appare un po’ affollata dentro una costruzione prospettica della struttura architettonica retrostante, i volti non sono ben definiti nei contorni, marcati invece i lineamenti di Giuda. In primo piano è buona la resa pittorica degli oggetti metallici. Non è certa l’attribuzione della tela, si propende per un’area culturalmente veneta degli inizi del ‘ 600: Matteo da Verona o Matteo Ponzone.
La Deposizione dalla croce
Il quadro, posto nel presbiterio sopra la porta che immette nella sacrestia, fu donato alla chiesa dalla pittrice Gemma Verzegnassi, zia del Premio Nobel Carlo Rubbia. Il dipinto è molto espressivo nella sua drammaticità; i colori cupi del paesaggio ed i volti non ben delineati dei personaggi contrastano con il bianco del lenzuolo che avvolge Cristo il cui corpo, di una certa rigidità, sembra buttato di traverso al quadro. Forse la luce che Gesù sembra emanare può significare che la nostra salvezza si attua attraverso questa morte.
La Via Crucis
I pannelli della Via Crucis sono sistemati lungo le pareti laterali della chiesa e sono opera di Antonio Paroli (1688-1768). Il 12 gennaio 1930 fu, per la prima volta, esposta l’opera acquistata grazie alle offerte dei parrocchiani ed al ricavato della vendita alla chiesa di Mossa di 4 vecchi reliquiari del valore di 400 lire che non erano di nessuna utilità in quanto nell’altare maggiore mancava lo spazio per poterli collocare. Le tele, dipinte intorno al 1750, erano custodite in san Carlo a Gorizia ed erano in cattivo stato. L’ultimo restauro è da attribuirsi a Renzo Perco, nel 1973. Il Paroli, nella realizzazione di questi pannelli, non si attiene al modello grafico della maggior parte delle Vie Crucis realizzate precedentemente. Si possono evidenziare alcuni particolari che non fanno pensare ad una sequenza di dipinti ma piuttosto ad immagini a sé stanti: la Madonna non sempre ha l’aureola, nelle leggende sulle targhe a volte si parla di Gesù ed altre di Cristo, il colore dell’abito di Gesù non è sempre lo stesso, nella sesta stazione quando la Veronica si avvicina a Gesù la strada è insolitamente in discesa. Al contrario la vivacità dei colori (notevoli l’azzurro ceruleo ed il giallo limone) permane invariata fino all’ultima stazione e questa risulta di grande effetto come nel più puro spirito del barocco, ma non esprime nella giusta misura la drammaticità del susseguirsi degli avvenimenti del venerdì santo. Anche i soldati contribuiscono a dare questa impressione con la loro aria infantile, con pose danzanti e per niente minacciose.
Sant’Antonio
Entrando, a destra c’è la statua di sant’Antonio. La statua non ha grande pregio artistico; il santo è riconoscibile dall’aspetto giovanile, dal saio francescano e dal fatto che regge il Bambino Gesù tra le braccia. Insolita è la mancanza del giglio che è sempre presente nell’abbondantissima iconografia del santo.
Il Battistero
Nel 1924, dopo la distruzione della prima guerra mondiale, durante la ricostruzione si acquista una nuova vasca per il battistero per una spesa di 50 lire. Nel 1935 si decide di affidare a Leopoldo Perco il compito di dipingere, alle spalle del fonte battesimale, un’immagine di san Giovanni Battista e nell’anno successivo il pittore riceve il compenso di 201 lire per l’opera compiuta. La fine decorazione offre figure di un certo sapore realistico. Ci sono tutti gli elementi della classica iconografia cristiana: il fiume Giordano, san Giovanni Battista che nella mano sinistra tiene la croce e con la destra battezza Gesù versandogli l’acqua purificatrice sul capo. In una nuvola di luce scende dal cielo una colomba bianca simbolo dello Spirito Santo. Dal 1997 il Battistero situato in fondo alla chiesa, nella parte sinistra, non viene più usato. E’ stata eretta una nuova vasca battesimale nella parte anteriore della chiesa, davanti all’altare della Vergine. A Lucinico, di proprietà privata, è conservato un disegno a matita (48 x 34) che è lo studio del Perco per l’affresco del Battistero di san Rocco.
L’organo
Il nuovo organo, di modeste proporzioni, è stato inaugurato il 9 giugno 1940. In quell’occasione venne eseguita la Messa in onore di san Francesco dello Zuccoli, dal coro di san Rocco sotto l’abile direzione del maestro Komel con accompagnamento all’organo del prof. don Toniutti. La costruzione dell’organo è dovuta all’abilità della rinomata ditta Zanin di Camino di Codroipo e la spesa fu di lire 33.800. La composizione dell’organo è la seguente: consolle a due tastiere di 61 note DO-DO; pedaliera di 30 note DO-FA; 13 registri reali; 7 registri meccanici; 14 pistoncini; 20 placchette per l’aumentatore; 6 pedaletti; 91 4 canne sonore. Il vecchio armonium fu venduto nel 1950 con un ricavo di 2.500 lire.
Il lampadario
Negli anni ‘70, quando si riformulò lo “spazio “ della celebrazione, fu molto sofferta la scelta della collocazione del punto luce al centro della chiesa. Era chiaro che si doveva necessariamente trovare un lampadario centrale che si armonizzasse con l’interno ma non approdò a nessun risultato praticabile la ricerca di un arredo antico autentico. Ci si orientò quindi su un ornato moderno che rispondesse insieme alla necessità dell’illuminare e dell’ornare con dignità e decoro. Presso la vetreria artistica di Vistosi, a Venezia, venne trovato l’attuale lampadario disegnato dall’artista francese Leclerq che sembrò rispondere sufficientemente alle esigenze del momento. La scelta lasciò un po’ interdetti i parrocchiani; tuttavia non si può ignorare che ogni spazio umano vive e respira anche il proprio tempo e la chiesa è come un palinsesto sempre scritto e sempre cancellato per le nuove esigenze. Così si arrivò ad accettare il compromesso, che tale rimane: un’opera forse discutibile, ma certamente un’opera d’arte.
Le reliquie
Nell’altare maggiore sono conservate le reliquie di san Giusto, sant’Andrea e san Cristoforo. Il primo è il noto martire triestino, titolare della chiesa e della diocesi di Trieste. L’apostolo Andrea è uno dei primi discepoli chiamati da Gesù. Secondo la tradizione venne crocifisso su una croce decussata da cui la tradizione iconografica della “croce di sant’Andrea”. San Cristoforo, martire in Licia, fu uno dei santi più venerati nel Medioevo: chiese e monasteri si costruirono in suo onore sia in Oriente che in Occidente; le sue reliquie furono portate in Austria, in Dalmazia ed in Spagna, oltre che in Italia.
La Croce astile
La croce astile, in argento sbalzato, cesellato e in parte fuso, è quasi certamente un opera dell’ argentiere Domenico Petrei attivo nella prima metà dei Settecento. Nel recto, oltre al Cristo crocifisso, nei quadrilobi sono raffigurati i quattro Evangelisti. Nel verso, oltre alla figura dell’immacolata, si vedono in basso un santo francescano, probabilmente san Francesco stesso, e nelle tre estremità superiori le “Pie donne”. La figura francescana fa pensare ad una destinazione primitiva diversa dalla chiesa di san Rocco.
L’Ostensorio
Opera del goriziano Francesco Leban fu esposto per la prima volta il 17 gennaio 1932, in concomitanza con la Giornata Eucaristica ed ancor oggi viene portato per le vie dei borgo nella processione dei Resurrexit. L’Ostensorio è in argento dorato a fuoco ed è impreziosito da due ametiste, due rubini, un topazio e diamanti.
Il baldacchino
Fu acquistato nel 1932. E’ un’opera in stile barocco, in seta con ricami in oro, decorata con medaglioni rappresentanti i quattro Evangelisti e recante sui soffitto l’immagine di Cristo Re. Le aste per sostenerlo furono fornite dalla ditta Francesco Leban.
Il Presepio
Il piccolo patrimonio della chiesa di san Rocco riserva ancora qualche gradita sorpresa che merita certamente una attenta visita. In particolare, nel periodo natalizio, la chiesa è arricchita di uno splendido Presepio opera lignea di un artigiano della val Gardena. L’opera, sofferto acquisto della comunità sanroccara, comprende una quindicina di figure tutte rigorosamente scolpite a mano.
BIBLIOGRAFIA
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